Testimoniare con la vita stessa
Siamo a cinquanta giorni dalla Pasqua. Il tempo di Pasqua si conclude oggi. Significa che questo è non un finale in discesa, ma un finale che ci porta un alto. Cioè si conclude tutto con questa Pentecoste. Pasqua è ancora oggi, ma è una Pasqua che non è più di stupore davanti a una morte che diventa vita. E’ una Pasqua che ci porta fuori.
La prima lettura oggi negli Atti degli Apostoli ci racconta quello che sta succedendo. Ancora una volta sono dentro casa e lì, però, scende come lingua di fuoco questo Spirito Santo che si divide e si posa su ciascuno, poi i discepoli cominciano a parlare; e tutti, in questa città cosmopolita che era Gerusalemme, possono capire. E’ il contrario di Babele. Vi ricordate Babele? E’ il momento in cui gli uomini ccostruiscono questa torre perché vogliono stare insieme. E parlano tutti la stessa lingua. Vogliono fare una torre che arrivi così in alto da toccare il cielo. Ma il Signore fa loro capire che non sono loro che devono andare a toccare il cielo, non è il loro posto. E tutti vanno via parlando lingue diverse e non capendosi.
La Pentecoste è il contrario. E’ la lingua dell’amore che tutti possono capire. Penso che ciascuno di voi ha fatto questa esperienza: che tu vai in un paese di cui non capisci la lingua, ma basta un gesto per farti capire, un gesto d’amore, il gesto d’amore che è quello più universale. Ecco, il Signore a Pentecoste riversa nei cuori dei credenti questo Spirito d’amore, il Paraclito dice il Vangelo. Che cos’è il Paraclito? E’ una parola greca, in latino viene tradotto ad vocatus (= chiamato vicino), avvocato. E sapete chi era l’avvocato? Non era quello che parlava al posto dell’imputato. Era l’imputato che parlava e accanto a lui c’era l’avvocato che lo consigliava. Lo Spirito Santo nella nostra vita fa questo. Non prende il nostro posto, perché noi non siano delle marionette, abbiamo la libertà di scegliere; ma ci consiglia, ci accompagna se noi lo vogliamo sentire. Il Signore fa questo con noi.
Ma questo Spirito d’amore che cos’è? Il Vangelo ci dice: uno Spirito che grida: Abbà, papà. Se noi ci raduniamo e diciamo il Padre nostro insieme è perché ci consideriamo tutti figli di Dio. Ed è questa la cosa più importante e più bella. Questa bambina tra poco farà la prima Comunione perché non ha potuto farla prima, i suoi genitori l’hanno portata alla fonte battesimale. E se vi ricordate bene il momento della liturgia del Battesimo, ogni volta diciamo il Padre nostro a nome del bambino dicendo che poi un giorno si avvicinerà all’altare per la prima Comunione, riceverà i doni dello Spirito nella Cresima e sarà con tutti gli altri fedeli nella comunità a pregare il Padre nostro. Questa bambina fa un passo supplementare, riceve il Signore dentro di sé, come noi facciamo ogni volta. Un Cristo risorto, non un Cristo morto, lo Spirito è presente. E allora, cosa vorrà dire questa chiamata della chiesa ad aprire le porte, questo fatto che noi dobbiamo testimoniare? Cosa fanno i discepoli? Testimoniano quello che hanno vissuto, basta, non fanno grandi trattati di teologia: raccontano la loro esperienza. Questa bambina potrà raccontare d’ora in poi la sua esperienza, quando il Signore entra nella sua vita, nel suo corpo; quando diventa, come dico sempre, un tabernacolo vivente che gira così, uscendo dalla chiesa. Anche noi dobbiamo raccontare la nostra esperienza di Cristo nella nostra vita. Sant’Agostino si è convertito dalla testimonianza dei martiri. E’ la nostra vita che evangelizza gli altri.
Nel Vangelo ci è detto che la legge è quella dell’amore. Nel Vangelo ci è detto: “Chi mi ama segue la mia parola”: mette in pratica quello che dico. Non serve a niente dire Signore, Signore se poi non agiamo da cristiani. Non serve a niente dire Signore, Signore se poi vivo la mia vita familiare o il lavoro come un mascalzone. Non serve a niente dire Signore, Signore se non vivo la parola di Dio nella mia vita.
E allora oggi ancora una volta chiediamo al Signore di darci questo Spirito, di aprirci le orecchie il cuore la mente gli occhi per poter vivere di questo Spirito.
Adesso chiedo ai ragazzi del centro estivo di venire qui davanti. Loro cercheranno di mettere in pratica per sette settimane quello che significa servire: dalla mattina alla sera, tutti i giorni, saranno qua a non pensare più a loro stessi, ma a pensare a questi bambini che vengono loro affidati.