Vivere l’uno per l’altro
Abbiamo sentito un lungo, molto lungo Vangelo in questa domenica speciale per noi. Un lungo Vangelo che ci parla della misericordia di Dio. Tre storie. Noi ci ricordiamo, conosciamo molto bene la storia del figliol prodigo. Ma, come avete visto, è inserita in altre storie che parlano di cose perdute e ritrovate. E parlano della gioia ogni volta di chi, avendo perso una certa cosa, la ritrova. Il Vangelo, è chiaro, ci parla della misericordia di Dio, di chi si è perso e si è ritrovato.
Se avete sentito bene, all’inizio di queste tre storie, Gesù sta parlando ai Farisei, cioè a a quelli che si sentivano i puri, i perfetti. Gesù sta raccontando loro queste tre storie, perché? Perché nell’ultima storia, quella chiamata del figliol prodigo, c’è la figura del fratello maggiore che sembra una figura perfetta. Sembra a posto, perché è sempre stato ligio al dovere, ma dentro c’è qualcosa che non va. E questo qualcosa che non va è nella nostra visone del peccato.
All’inizio nella Genesi il serpente ha messo qualcosa in testa all’uomo e alla donna. Ha detto che il peccato è una cosa simpatica, che potrebbe essere anche una cosa gioiosa, carina, ma che Dio ha detto che non si può fare. E allora spesso noi abbiamo l’impressione che il peccato sia una cosa bella, ma che non si può fare. Così dentro di me nasce l’ invidia, nasce la voglia di fare una cosa che mi fa sentire represso a non poterla fare. Il figlio maggiore reagisce così. Dice: ma come, io sono sempre stato qui, ti sono sempre stato vicino, ti ho e sempre aiutato, e tu non mi hai mai dato neanche un capretto per gli amici! E adesso l‘altro tuo figlio, che è stato con le prostitute, torna e vuoi che gli facciamo festa col vitello grasso!
Il figlio più giovane, quello che se n’era andato e aveva toccato il fondo, aveva capito quanto bene poteva trovare nel padre, nell’ essere con lui. Il figlio maggiore invece non l’aveva capito.
Allora questa parabola parla a ciascuno di noi, che ci sentiamo vicini a questa casa del Padre, che siamo dentro alla casa del Padre. Parla a ciascuno di noi e ci fa capire l’amore del Padre e che alla fine di queste storie c’è sempre la gioia.
E’ davvero bello che abbiamo un matrimonio durante questa messa domenicale. La messa domenicale è la casa del Padre. E’il momento in cui ci ritroviamo qui per far festa, per stare insieme. E qui, come in una famiglia, dobbiamo festeggiare. La comunità è in festa: due dei suoi figli sono qui per fare quel salto di cui avevamo parlato. Cosa fanno questi due figli? Rispondono alla vocazione battesimale che hanno ricevuto. All’ inizio vi ho aspersi con l’acqua, per ricordare il vostro Battesimo. Al Battesimo abbiamo ricevuto la vocazione, cioè la chiamata a seguire il Signore. E ciascuno lo segue in modo diverso: a me e a don Paolo è arrivata la chiamata sacerdotale, cioè la vocazione a seguire Cristo nella speciale consacrazione. Matteo e Raffaella rispondono alla chiamata alla santità, cioè a seguire Cristo, attraverso il matrimonio. La loro vita non sarà più Matteo da solo e Raffaella da sola: cercano la santità, ma insieme. Questa vocazione è completamente diversa da quella precedente: adesso insieme devono vivere la santità tracciata da Cristo: una vita difficile.
Difficile perché l’amore è difficile. E tanti in questa assemblea lo sanno. L’amore è difficile. E’ difficile condivider con l’altro tutto. E’ difficile dare la propria vita per l’altro! Perché d’ora in poi tu, Raffaella, darai la vita per lui. E tu, Matteo la darai a Raffaella.
Dare la vita per gli altri è quello che Cristo ci insegna. Ecco perché abbiamo il crocifisso in tutte le chiese. Non perché ci piace veder un uomo torturato, ma per ricordare che amare significa dare la vita. E dare la vita non vuol dire solo morire, ma morire a se stessi sì.
E’ bello che ieri loro due si sono confessati, abbiamo parlato. Ovviamene non vi posso dire… Però, vedere che per l’uno come per l’altro la prima cosa è pensare all’ altro, al suo porte-bonheur, a farlo felice. Fare la felicità dell’altro. Il fatto di pensare assolutamente che la mia vita è fare la gioia dell’altro è un concetto grandioso.
Guardiamoci attorno: invece che cosa succede? Che ogni volta che penso a me stesso, con tutto l’egoismo che c’è in giro, ecco separazioni, cattiverie, allontanamenti… Il nostro mondo non funziona perché siamo troppo concentrati su noi stessi. Il matrimonio cambia questo centro, non sono più io al centro, ma al centro è la nostra vita.
E allora oggi la nostra comunità è felice perché vedono due giovani che fanno questo salto. E noi volgiamo fare il salto con voi, con voi vogliamo seguire il nostro cammino con quella gioia, quella intensità che sta abitando nel vostro cuore oggi. E’ lì il segreto.
Non sono vecchio, ma in questi anni di sacerdozio abbiamo festeggiato anche con tanti i venticinque, i cinquanta, i sessanta anni di matrimonio. Ed è bello vedere coppie che, malgrado le difficoltà, hanno sempre cercato di vivere l’uno per l’altro. E ti rendi conto che dopo cinquant’anni è ancora più bello del giorno del matrimonio, perché si girano e vedono come questo sì fatto davanti a tutti è un enorme sì fatto di tanti sì tutti i giorni, tutti gli anni e dandosi la mano. E la nostra vita di cristiani è questa: ogni mattina dire sì al Signore, ogni mattina io scelgo di prendere una via o l’altra. Ogni mattina io scelgo di prendere la via che ci unisce o che ci separa. Ritrovarsi qui dopo tanti anni con i nipoti, credo che sia la più grande gioia che uno possa vivere.
E allora tutto inizia, non finisce qua. So che avete faticato molto, che la situazione non è facile in questo periodo, ma: oggi è un grande inizio per tutti e due. E la nostra comunità è qui a testimoniare questo momento bello, come alcuni che vedo che hanno seguito insieme a voi questi corsi. Qui in questa parrocchia di san Bonaventura, che è la vostra famiglia, verrete, battezzerete i vostri figli, forse li porterete al catechismo e tutti noi pregheremo per voi. Farete questo passo tranquilli. Tranquilli perché ci siamo noi, insieme con voi. Amen