Io sono il buon pastore
È bello poterci ritrovare insieme per la domenica del buon pastore! Ho ancora il ricordo terribile dell’anno scorso, della messa che ho dovuto celebrare senza di voi, nella assenza obbligata dei fedeli. Quindi è davvero bello quest’anno ritrovarci insieme.
La quarta domenica di Pasqua è tradizionalmente la domenica del buon pastore, dove, come avete sentito nel Vangelo, Gesù ci ricorda che è lui il buon pastore. Sapete che nell’Antico Testamento c’era il sommo sacerdote, gli altri sacerdoti eccetera; ma nel Nuovo Testamento c’è n’è uno, un sacerdote unico, che è Gesù Cristo. È lui il sommo sacerdote, è lui il buon pastore.
In questo Vangelo Gesù ci ricorda la differenza tra il buon pastore e il mercenario, che è pagato per tenere le pecore. E ci dice: “Perché è un mercenario non gli importa delle pecore”. Davanti al pericolo, il mercenario se ne va, scappa, perché non è interessato alle pecore, perché le pecore non gli appartengono. “Il buon pastore invece dà la vita per le sua pecore”.
Nei giorni santi abbiamo vissuto il momento in cui Gesù si donava per ciascuno di noi. Abbiamo visto il nostro buon pastore dare la vita. E, se noi lo seguiamo, è perché anche noi vogliamo essere simili a lui. Noi sappiamo benissimo cosa significa essere buon pastore, perché è quello che ci aspettiamo dai nostri sacerdoti; ma ce lo aspettiamo anche da altri, da certe professioni come quelle di insegnanti o medici, perché si capisce subito se uno quello che fa lo prende come una missione e si dà alla persona che ha di fronte o se invece lo fa perché lo deve fare. Quindi abbiamo bene in mente che cosa significa essere buon pastore.
Però, vedete, noi siamo stati anche battezzati come re, come profeti e come sacerdoti. Ognuno di noi è chiamato a seguire il buon pastore. E seguire il buon pastore vuol dire assomigliargli, vuol dire che ciascuno di noi è chiamato a dare la vita come il Signore ci ha insegnato. Ciascuno di noi è chiamato a rendere questa comunità parrocchiale una comunità credibile, fatta di cristiani credibili: non c’è altra strada. E rendersi credibili significa dare la vita anche noi.
Dare la vita non significa solo morire sulla croce. Dare la vita significa dare tutto me stesso, tutto quello che costituisce la mia vita. Ma per questo è necessario essere totalmente liberi! Perché, se io non sono libero, voglio tenere qualcosa per me! Credo sempre di perdere qualcosa. Se invece sono libero, mi posso dare totalmente. Quello che il Signore ci i segna è che si è donato sulla croce, non gli è stato imposto: sapeva molto bene cosa gli aspettava tornando a Gerusalemme. Anche noi siamo chiamati a questa credibilità.
Nel Vangelo Gesù dice: “Ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare”. Ecco, anche noi siamo chiamati ad attirare a Cristo nuove pecore. Questo quartiere ha bisogno della nostra testimonianza, della nostra credibilità. Come ne hanno bisogno le nostre famiglie, come ne hanno bisogno i nostri luoghi di lavoro; come ne hanno bisogno i nostri figli, che ricevono la nostra educazione e i nostri esempi. Le parole non bastano. Ci devono essere i fatti. E i nostri ragazzi ci osservano, sempre: capiscono. Capiscono molto di più di quello che possiamo pensare. E ci seguono, sulla brutta o sulla buona strada.
A noi dunque spetta di aprire il cuore alla presenza di Cristo, per poterci donare totalmente, per essere sempre più credibili. Ne ha bisogno questo quartiere, ne ha bisogno l’Italia, ne hanno bisogno le nostre famiglie, ne abbiamo bisogno noi!
Chiediamo all’unico pastore di attirarci sempre più a lui. “Io sono il buon pastore” dice il Signore, ”conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. Amen