Il Signore asciugherà le lacrime su ogni volto
Abbiamo sentito nella prima lettura queste parole: “Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto”. Se ci siamo radunati questa sera è proprio perché le lacrime sono scese su ognuno dei nostri volti, perché tutti noi abbiamo perso una persona cara. Ed è una cosa terribile! Perché l’amore è meraviglioso, ma l’amore fa soffrire. È come se una parte di te stesso ti fosse tolta. Senti dentro di te, nel momento della perdita, un vuoto immenso, qualcosa dentro di te che sparisce. Ognuno di noi che ha amato, sa cosa significa.
Allora queste parole di Isaia sembrano qualcosa che non ci riguarda, non sono per noi? Quando il Signore ha asciugato le nostre lacrime? Quando ha eliminato la morte?
Nello stesso tempo, se ci siamo radunati in questa chiesa questa sera, è perché abbiamo fiducia in lui, Gesù Cristo. Abbiamo fiducia nella sua parola. Noi, se siamo qui radunati questa sera, è perché undici uomini che lo seguivano, hanno raccontato di averlo visto risorto. Undici uomini deboli, undici uomini che ci assomigliavano, con i loro difetti, le loro debolezze, le loro paure. Undici uomini che erano quasi tutti scappati; e il dodicesimo, lo sappiamo, si era anche suicidato. Ma questi undici uomini, dopo aver incontrato Gesù risorto, hanno cambiato totalmente. Hanno trovato la forza di dare questo messaggio che ancora oggi diciamo così e cioè che Gesù ha vinto la morte, è risorto, è tornato, è vivo. E oggi noi che ci avviciniamo a questo altare per ricevere il corpo di Cristo, non riceviamo un corpo morto, ma riceviamo il corpo vivo di Cristo. Ogni volta che portiamo un bambino al Battesimo, lo battezziamo nella morte e resurrezione di Cristo. Voi sapete che la parola Battesimo deriva dal greco e significa essere immersi: noi immergiamo quel bambino nella vita nuova di Cristo!
Ma che cosa significa la nuova vita di Cristo? Che cosa significa accogliere questa vita nuova dentro la nostra? Ce lo dice la seconda lettura: “Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!”, anzi: papà!
Tante volte, quando veniamo in chiesa, abbiamo sentito che ci viene detto che siamo tutti fratelli. All’inizio della messa il sacerdote dice: fratelli, sorelle. Ma quello che ci unisce è proprio lui, perché Gesù ci ha parlato di Dio dicendoci che è Padre. E voi sapete che cos’è un cammino cristiano? È un cammino che ricerca questo amore. Noi ci raduniamo di domenica, e alcuni vanno in chiesa ogni giorno, non per un obbligo, perché si deve andare a messa la domenica; le persone si radunano perché desiderano ascoltare la sua parola, vivere questa comunione, perché vogliono ricercare questo fatto, questo amore di cui Gesù ci ha parlato. Forse tutti noi, forse alcuni di noi hanno sentito quell’amore che Gesù ha messo dentro di loro. Ma la cosa più bella è renderci conto che siamo figli. La relazione che abbiamo noi con Dio non è una relazione da fedele con qualcosa di alto, diverso, e io sono lì ad adorare, ma è una figliolanza, una fraternità: io mi sento amato come figlio; e amo lui come un Padre. Ed è questo il segreto del cristianesimo: è scoprire di essere amati. E se scopriamo di essere amati, capiamo anche che dobbiamo amare; ed è questo il senso del Vangelo di oggi.
Dicevo che il Vangelo ci ricorda dei nostri morti e perciò ci ricorda la vita! Ma cosa stai dicendo don Stefano? La morte ci fa pensare alla vita? Sì, perché quando qualcuno muore, io penso che questo può accadere a me domani e allora mi domando: come sto vivendo la mia vita? La vivo pienamente? Che cosa significa vivere pienamente la vita di tutti i giorni?
Vivere pienamente la vita significa viverla con amore. Quello che rende felice una persona, ve l’ho detto ieri, è l’amore. Noi ieri abbiamo festeggiato i santi giusto prima della commemorazione dei defunti proprio per ricordare che lo scopo della nostra vita è amare, come questi santi che sono esempio per noi. Abbiamo detto che i santi non sono perfetti, ma sono uomini e donne che hanno scoperto di essere amati e che amano. Allora la morte, che oggi ricordiamo, ci deve far pensare alla vita. E nel Vangelo di oggi ci viene detto che noi saremo giudicati sull’amore che abbiamo donato. Quando Gesù ci fa questo esempio del re che separa le pecore dai capri, a quelle di destra, le pecore, dice: “Venite a me, perché quando avevo fame mi avete sfamato, avevo sere mi avete dato da bere, ero straniero, ero nudo, malato, carcerato, voi mi avere accolto, vi siete occupati di me. E loro: ma quando l’abbiamo fatto? “Quello che avete fatto ai più piccoli, l’avete fatto a me”. E poi, lo sapete benissimo, dice il contrario agli altri, alle capre che sono a sinistra. Bene, guardiamoci dentro: lo stiamo dando questo amore? Lo stiamo dando realmente?
Se veniamo qui a dire il rosario, a fare tremila gesti di devozione, ma poi giudichiamo l’altro, non stiamo attenti al povero, disprezziamo le persone, giudichiamo, alziamo muri, allora tutte queste cose che facciamo qui sono solo esterne, ma il mio cuore dove sta? Con le capre o con le pecore?
Salutare i nostri defunti è anche pensare alla vita, è anche guardare nel futuro. Salutare i nostri defunti significa anche voler vivere di quell’amore che ci è stato donato.
Lo dicevo all’inizio: perdere qualcuno è perdere qualcosa di noi, qualcosa dentro di noi, perché l’amore è grande. Ma questo amore che ci hanno donato, noi crediamo che venga da Dio; e quell’amore, se noi lo vogliamo, lo dobbiamo testimoniare. Tante volte si dice: quello che rimane di una persona non sono i beni, ma quell’amore che ci ha donato, e allora è quello che dobbiamo far fruttificare. Siamo tutti chiamati a essere fecondi di quest’amore.
Allora oggi preghiamo per loro, ma preghiamo anche per noi. Chiediamo al Signore di farci sentire il suo amore: questa è la ricetta della felicità. Questo è anche il senso ultimo della nostra vita; davanti a un mondo sempre più egoista, anche se si ripetono parole come amore, solidarietà, eccetera, un mondo che è sempre più esclusivo, dove alla fine io penso soprattutto a me e non me ne frega niente degli altri. Tutto il contrario di quello che ci dice Gesù. Se vogliamo la felicità, dobbiamo amare. E amare significa anche rinunciare a se stessi. Morire a sé: è la cosa più difficile, ma più bella, perché noi siamo chiamati a essere liberi, come ci dice san Paolo nella seconda lettura. Allora, un giorno, anche noi, quando saremo chiamati al cielo, vogliamo sentire queste parole:
“Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo”. Amen