Amare e servire
Il tempo rallenta. Vogliamo vivere insieme questa settimana così particolare per i cristiani, la più bella, la più grande, la più profonda, in cui il Signore ci insegnerà tanto, perché ci insegnerà a dare la vita.
Iniziamo con questa Pasqua ebraica, che il Signore vuole festeggiare con i suoi discepoli. La Pasqua ebraica, come abbiamo sentito nella prima lettura, era il memoriale della liberazione dalla schiavitù d’Egitto. Gli Ebrei avevano messo il sangue dell’agnello sullo stipite e sull’architrave delle parte. Dio passa e, dove vede il sangue, passa oltre. Pasqua significa passare oltre. Il Signore raduna i suoi discepoli per commemorare con loro la Pasqua; ma il Signore trasforma questo momento: non è più un momento di rottura, diventa l’annuncio della sua morte, della sua donazione, della sua nuova Alleanza.
Gesù, prima di celebrare la Pasqua con i suoi discepoli, fa un gesto particolare, che il Vangelo di oggi racconta: se l’avete ascoltato bene, il Vangelo di oggi non ci parla di liturgia, non ci parla di preghiera, non ci parla neanche di qualcosa di sacro. Oggi il Vangelo ci racconta di un gesto, di un gesto che il Signore fa: Gesù si mette ai piedi dei suoi discepoli e, come uno di servizio, come uno degli schiavi, si mette a lavare i piedi dei suoi discepoli. Lui il Maestro, lui ebreo, si mette a pulire i piedi! In questa piccola comunità dei suoi discepoli, la prima delle comunità, il Signore vuole fare questo gesto: un gesto di amore, un gesto di servizio. E ci insegna qualcosa di grande: che la nostra comunità, anche quella di Torre spaccata, anche quella di san Bonaventura, deve essere fondata su quel gesto lì. Nessuna comunità cristiana può essere fondata su altro che sull’amore e il servizio. Il Signore ci lascia questo!
Nel giorno in cui festeggiamo non solo l’istituzione dell’Eucaristia, ma anche, in un certo senso, la festa della comunità che si raduna attorno all’Eucaristia, il Signore ci lascia questo gesto: servizio e amore.
Il Signore non dice: “Io sono il Maestro, ìo sono Gesù”, ma si mette a servire l’altro. E questo diventa un insegnamento per ciascuno di noi, secondo la nostra vocazione. Noi non siamo qui, noi sacerdoti, per dire: io sono prete, quindi questa cosa non la faccio; un marito, una moglie non dice: io sono il marito, io sono la moglie e quindi non lo faccio; ma se tu vuoi amare, ci dice il Signore, lo devi dimostrare. L’amore chiede di essere attivo. L’amore, l’abbiamo detto più volte, non è un sentimento. L’amore, lo scelgo e lo vivo. E il Signore ci fa capire che amare significa servire. E ognuno di noi, secondo il suo stato, è chiamato al servizio.
Allora oggi dobbiamo prenderci un momento per riflettere e dire: come servo il mio amore per mia moglie e per mio marito? Come servo, io come sacerdote, la mia comunità? Come servo, io come bambino, i miei genitori, la mia famiglia? Come servo, io come genitore, i miei figli? Ciascuno di noi è chiamato a questo gesto che simbolicamente faremo qui davanti a voi. Ciascuno di noi è chiamato a fare quel gesto nel suo piccolo mondo, nella sua famiglia, nel suo luogo di lavoro. Ciascuno di noi è chiamato, là dove deve andare, a servire. È questa la base del nostro vivere insieme, della nostra comunità; non ce n’è un altra. Il Signore ci lascia proprio questo, lo dice proprio ai suoi discepoli: non possiamo scappare da qui. Non serve a niente rinchiudersi in altro, perché questo è quello che il Signore ci lascia. A ciascuno di noi. Le parole di Gesù nel Vangelo sono molti chiare. Ci dicono così: “Se dunque io, il Signore e Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. La nostra è una vocazione all’amore. Dio ci ha creato per comunicarci il suo amore; per renderci capaci di vivere nell’amore. Ma senza il servizio, l’abbiamo capito, è un amore vuoto. E sappiamo bene che il servizio senza amore è schiavitù.
Allora l’insegnamento di questa ultima cena è solo questo: servizio e amore. Amare e servire. Solo su queste due colonne può vivere una chiesa, può vivere un’assemblea, può vivere una comunità cristiana. Solo su questa base può realmente esistere una comunità cristiana.
E allora, ricordando il gesto del Signore, su questo altare, luogo del sacrificio e del dono di Dio, oggi vogliamo mettere le nostre vocazioni. È vero, particolarmente oggi, noi sacerdoti festeggiamo l’unzione della nostra vocazione, del nostro ministero. Ma tutti noi abbiamo questa vocazione di servire e amare. E allora su questo altare mettiamo la nostra vita, noi genitori, noi sposi, noi sacerdoti: tutto quello che siamo, oggi, lo mettiamo su questo altare. Chiediamo al Signore di renderci sacramento, cioè di renderci luogo in cui l’amore di Dio vive, luogo in cui l’amore di Dio si esprime, si rende visibile. Chiediamo al Signore che ciascuna delle nostre vite sia espressione del servizio e dell’amore di Dio.
È bello iniziare questo triduo, pensare che questa è la nostra grande vocazione: amare e servire. Amen