La vita al massimo
Ci siamo lasciati la settimana scorsa con i discepoli di Emmaus che tornavano tristi da Gerusalemme; avevano visto tutto, avevano sentito tutto, il racconto delle donne, quello che era successo: prima la crocifissione, poi la Resurrezione; e, malgrado tutto questo, andavano via delusi, perché non avevano capito niente.
Io non so come siamo qui, ciascuno ha il suo cammino. Forse qualcuno di voi sta come questi discepoli, deluso. Forse qualcuno, invece, è pieno di forza, pieno di gioia, pieno di spirito, ha vissuto questa Pasqua come un grande cambiamento e una riprova ancora una volta di Cristo che si fa presente nelle nostre vite. Forse c’è chi è qui solo per obbligo, per abitudine, per tradizione; o chi è qui semplicemente per accompagnare i figli che vanno al catechismo, ma che vorrebbe fare altre cose; chi, invece, non lo so: tante possono essere le possibilità che fanno sì che ci ritroviamo qui insieme, davanti a lui. Noi siamo il gregge. E allora oggi parliamo di gregge, quindi parliamo di noi, povere pecore che siamo.
Abbiamo sentito che Gesù racconta la storia di questo pastore, di questo gregge e del guardiano. Noi dobbiamo immaginare un po’ la scena. Gesù prende esempi dalla vita comune, che però per noi non è più vita comune: in città non abbiamo il gregge. Allora dobbiamo cercare di capire di cosa sta parlando.
La sera il gregge veniva messo in un recinto. Non era un solo gregge, ma potevano essere le greggi di diversi pastori, che venivano messe in un unico recinto. E c’era un guardiano per la notte, che stava lì, davanti alla porta e con il suo corpo la bloccava per difenderla da possibili ladri o per evitare che una pecora potesse scappare. Poi, la mattina presto, i pastori tornavano, il guardiano apriva la porta, e ogni pastore chiamava il suo gregge. Come avete sentito nel Vangelo, le pecore seguivano il loro pastore perché ne riconoscevano la voce.
Questa mattina abbiamo detto che il gregge siamo noi, le pecore siamo noi. E il recinto a volte è la nostra piccola vita, la nostra piccola fede, le nostre piccole certezze, tutto quel piccolo mondo che ci creiamo attorno a noi: le nostre associazioni, i nostri gruppi, in cui ci troviamo bene, ci sentiamo difesi. Ma quella è solo una piccola parte del mondo! Quel recinto chiuso non è tutto il mondo! Lì io mi seno protetto, ma non vivo realmente, sono un po’ imprigionato dentro la mia piccola realtà.
E Gesù dice: ”Io sono la porta”. Io sono quel guardiano che guarda la tua vita, che sta accanto a te, che ti protegge. È attraverso di me che tu devi passare.
Conoscete il significato della porta che passiamo al giubileo? Tra non molto, nel 2025, ci sarà un nuovo giubileo: la porta che passiamo è segno di Cristo e viene proprio da questo Vangelo, dove Gesù dice: “Io sono la porta “. Allora noi siamo chiamati, a un certo momento, a uscire dal recinto, a uscire dalle nostre sicurezze, a uscire dal nostro piccolo mondo; e sentiamo la voce! Qual è questa voce, come ci chiama Gesù, il nostro pastore? Ci chiama per nome!
Non pensate che i pastori avessero un elenco e chiamassero ogni pecora per nome: uno solo è il pastore che lo fa, è Cristo! Ma per poterlo fare, per conosce il nome di ciascuno di noi, ha solo una possibilità: amarci! È cosi. Tu non avresti voglia di conoscere il nome di tutti, ma se per te quella pecora è importante, allora cominci a sapere anche il suo nome.
Dunque la prima cosa bella che ci viene ricordata oggi è che Gesù ci chiama per nome, ci conosce. Quindi c’è una relazione intima con il Signore. Noi non siamo qui radunati attorno a una grande ideologia per cui stiamo qui a seguirla: noi siamo qui per una relazione d’amore personale con il Signore. E non è che mi trovo un una grande massa di gente in cui non sono nessuno, ma è una relazione personale che ci raduna. Noi non siamo radunati per essere insieme, ma siamo radunati da lui, con lui e attraverso di lui, attorno a lui. È lui, Cristo, che ci raduna! Non è per un altro legame che siamo radunati qua oggi, molti di noi nemmeno si conoscono: siamo radunati qua oggi grazie a lui, grazie a questa relazione personale che abbiamo con il Signore!
Allora la voce che noi sentiamo, ed è per questo che lo seguiamo, è la parola di Dio! La voce che usa il Signore per chiamati è la sua parola. Una parola che è così ricca che, dopo duemila anni, siamo ancora qui, a riflettere; e ci rendiamo conto che questa parola parla al nostro cuore: se noi sentiamo quella parola, è perché accende qualcosa in noi. Ricordate i discepoli di Emmaus: “Non ci ardeva il cuore quando lui parlava?”. Ed è questo! Perché noi non seguiamo il Signore per forza, ma per amore, perché c’è qualcosa che ci muove qui dentro. Èd è questo che ci porta poi alla conversione, a seguirlo, a voler essergli dietro: perché c’è qualcosa che si muove qua. Perché lui tocca la mia via vita. Le sue parole toccano la mia vita nella sua più grande profondità! Lui tocca le corde sensibili della mia vita. E questo è meraviglioso!
Se non è così, io non lo seguo! Basta guardare gli altri di cui parla, i falsi profeti, i mercenari. Chi sono i mercenari? Sono quelli che non ti amano, ma che lo fanno per i soldi, cercano i tuoi voti. Che stanno lì a raccontarti tante cose, ma lo fanno per i voti, e poi non si interessano a te. Cristo, invece, è qui non per cercare consenso, ma è qui per amarti! Ed è questo che cambia tutto! A differenza del mercenario, ti chiama per amore, conoscendoti per nome. E perché ti chiama? Per farti uscire dal recinto, da quelle piccole certezze e da quella piccola vita, da quelle sicurezze che ti sei creato, pensando che sia questa la vita; invece è una cosa limitata, dove tu ti senti solo protetto, e basta. Mentre la realtà è grande, è bella, è là dove veramente puoi essere te stesso. Questo il Signore vuole per te.
Alla fine del Vangelo Gesù che cosa ci dice? “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Cari amici, il Signore è venuto non a toglierci la vita, come certe volte temiamo: noi abbiamo paura di lasciarci prendere da Cristo, perché temiamo di perdere la nostra vita. Ma il Signore è venuto a donarci la vita! È questo che la Pasqua ci fa capire. La morte è vita! Se noi doniamo noi stessi, viviamo ancora di più! Il Signore ci dà qualcosa di più grande! Ed è questo! Il Signore è venuto a dirci la vita e a darcela in abbondanza.
Di questa abbondanza non viviamola per il minimo, ma per il massimo! Non facciamo le cose per il minimo, ma per il massimo! È così triste vedere le nostre comunità spente, perché fanno il minimo indispensabile, anziché il massimo! È così triste vedere le persone nei servizi pubblici che fanno il minimo, invece di fare il massimo! È così triste vedere anche dei preti che fanno il minimo invece del massimo! È così triste un mondo in cui tutto è al minimo, invece di essere al massimo! È questa la nostra chiamata, è questa la vita in abbondanza, è questo che il Signore vuole da ciascuno di noi. È questo che ci sta regalando: la vita! Ed è questa vita che noi desideriamo, altrimenti non saremmo qui, potremmo fare ventimila cose, potremmo chiuderci in un centro commerciale come tanti fanno, completamente drogati da quello che ci dovremmo mettere e cambiare in continuazione: ma noi vogliamo la vita! È questo che noi desideriamo ed è questo che lui, lui solo ci può donare! Ed è per questo che dobbiamo aprire il cuore! Ed è per questo che dobbiamo seguire la sua voce!
Ed è per questo che noi amiamo essere amati da lui. Lasciamoci amore e convertire da lui. Amen