Amore e morte
Ieri, giovedì santo, in quell’ultima cena, abbiamo riflettuto sul legame per noi, discepoli del Signore, tra amore e servizio: l’uno non poteva esistere senza l’altro. Anche se ieri la lavanda dei piedi non è stata fatta a causa della pandemia, nelle letture che abbiamo sentito e al centro del Vangelo di Giovanni c’era: amore e servizio. E abbiamo detto che questo doveva essere ciò che guidava ogni discepolo.
Oggi vi consegno altre due parole: una è sempre amore; ma l’altra è morte.
L’amore cristiano non è una filantropia, cioè significa l’amore per l’uomo. Tutto quello che facciamo noi cristiani, lo facciamo per amore di Dio. È molto importante capire questo.
Quando Gesù è sulla croce, dice poche parole. Una la dice a Maria: “Donna, ecco tuo figlio” e a Giovanni: ”Ecco tua madre”. E poi dice: “Ho sete”.
Io mi vorrei soffermare su queste parole oggi. Gesù dice a ciascuno di noi: “Ho sete!”. È un grido che forse sentiamo poco nel nostro paese. In tanti altri paesi c’è questo grido, vero, di persone che non hanno acqua. Alcune volte possiamo sentire qui, anche nelle nostre strade, qualcuno che grida: “Ho fame”. Il Signore sulla croce, poco prima di morire, ha lo stesso grido: “Ho sete”.
Come possiamo noi continuare a vivere sentendo questo grido? È terribile quando vediamo anche che nei nostri paesi non sappiamo come fare a perdere peso, quando in altri paesi tanti muoiono di fame e di sete. Questa grande ingiustizia che vive il mondo, la viviamo noi nel nostro cuore, perché tante volte il nostro cuore è diviso: gridiamo che amiamo il Signore e poi però ci perdiamo. E sapete perché ci perdiamo? Perché purtroppo facciamo parte di quella umanità, la stessa che ha ucciso Gesù.
Tutto inizia in un giardino nella nostra storia: il giardino dell’Eden; e tutto si conclude in un giardino, il giardino degli ulivi. Adamo e il nuovo Adamo. Uno disobbedisce, l’altro obbedisce. E il nostro problema è che siamo sempre tra i due, con grandi momenti in cui abbiamo voglia di obbedire al Signore, e lo facciamo, e tante altre volte in cui gli giriamo le spalle. Noi ci dovremmo nutrire dell’amore di Dio. Questa dovrebbe essere la chiamata, la vocazione di noi cristiani: nutrirsi del suo amore. Un amore che si esprime nella sua parola, nella sua presenza, nella sua misericordia. Un amore che dovrebbe nutrire il nostro cammino.
Noi cosa vediamo nell’altro? Un uomo che ha bisogno di me o un altro Cristo? Non dovremmo vedere riflesso Dio nei nostri fratelli? Non siano stati tutti creati a immagine e somiglianza di Dio? Il Signore non ci ha detto che quello che faremo al più piccolo, lo faremo a lui? Noi, quello che facciamo, lo facciamo per amore di Dio. Ma se questo amore non abita dentro di me, se non ci nutriamo della sua parola, della sua presenza, della sua misericordia, come e che cosa portiamo ai nostri fratelli? Ecco perché la nostra comunità è così povera, povera non di soldi, ma di bontà. Perché questo quartiere, se non è diverso da come è, è perché noi non testimoniamo quell’amore. Certo che è difficile, ma è necessario.
Ma per nutrirci di tutto questo, per nutrirci dell’amore di Dio, devo rinunciare a me stesso, devo rinunciare all’amor proprio. Devo rinunciare a mettermi al centro. Ecco perché oggi il tema è non tanto il servizio, quanto la morte. Amore e morte. Per poter realmente servire, io devo morire. Non c’è altra strada per il cristiano. Non c’è resurrezione, senza morte, non c’è cristian3simo senza morte. Non c’è umanità senza morte. Siamo chiamati a morire a noi stessi. Il ricordo del venerdì santo ci fa capire questo: siamo chiamati a morire. Ma sappiamo che questa morte, passa.
Noi siamo venuti oggi qui non chiusi nel dolore, ma abitati dalla speranza. Non è che poiché stiamo vivendo questo momento forte, ci dobbiamo dimenticare a cosa siamo chiamati. Anche in questo periodo della pandemia, dentro di noi deve vivere la speranza! È dura. Tutti noi stiamo portando una croce, per qualcuno anche molto pesante, per qualcun altro di meno; ma tutti siamo colpiti da un anno di restrizioni. Ma dentro di noi, se non abita la speranza, se non abita la libertà cristiana, ogni volta che noi soffriamo, ogni volta che abbiamo paura, ogni volta che siamo nel dolore, se non abita dentro di noi la speranza, allora cosa abita? Cosa stiamo seguendo? Chi siamo? In questi mesi tante volte vi ho detto che non possiamo essere condotti dalle nostre paure. Dobbiamo essere come Giovanni sotto la croce, non come gli altri discepoli che sono scappati. Poveretti, ancora non avevano capito che c’era la Resurrezione, ma noi lo sappiamo! Abita in noi la speranza. Quindi, se siamo chiamati a morire a noi stessi, è per una nuova vita! Perché sappiamo che, quando moriamo a noi stessi, non andiamo incontro a una morte eterna, andiamo incontro a una vita nuova. Morire a noi stessi significa essere un dono per l’altro, significa essere vivi dentro. E so che questo lo capite, perché ciascuno di voi a un certo momento ha vissuto un dono totale. Purtroppo non sempre, perché la nostra debolezza fa sì che tante volte ci richiudiamo su noi stessi.
San Francesco di Sales scrive:”Il monte Calvario è il monte degli amanti. L’amore che non prende la sua origine dalla croce, è frivolo e pericoloso. L’amore e la morte sono tanto fusi insieme nella passione del Signore, che non si può avere in cuore l’uno senza l’altro. Sul Calvario non si può attingere la vita senza l’amore, né l’amore senza l’amore del Redentore. Fuori da lì viene la morte eterna. Fuori da lì viene la morte eterna o l’amore eterno. E tutta la sapienza cristiana consiste nel sapere ben scegliere”.
Anche noi questa sera siamo chiamati a scegliere: la morte eterna o l’amore eterno. Voi lo sapete: la vita del cristiano, la vita del discepolo è una vita di scelte, è una scelta continua. O rimaniamo sotto la croce e sentiamo il grido di Gesù: “Ho sete”, o andiamo a nasconderci, per non poter sentire il grido del nostro Signore: “Ho sete”. Amen