Testimoniare l’amore ricevuto: questa è la nostra missione
Quando noi facciamo teologia la parte sulla Trinità è una delle più difficili. In un film, che molti hanno visto, un bambino chiede alla zia: “Com’è Dio?”. La zia lo prende in braccio e gli chiede; “Come ti senti?”. E il bambino risponde: “Bene”. E la zia dice: “Ecco, Dio è questo “.
Cosa significa tutto questo? I discepoli, che avevano vissuto tutto il problema della passione, e anche uno di loro è morto, si ritrovano sul monte a invocare Gesù. E li dubitano. Forse come noi certe volte nella vita abbiamo dubitato; perché non è facile capire questo Dio in tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. Un Dio che certe volte è difficile incontrare, sentire. A volte ci sembra un Dio lontano. Gli stessi discepoli, prostrati sul monte, dubitano davanti a lui.
Ma Gesù non si arrabbia. Il Vangelo dice che “si avvicina”. Questa infatti è la prima caratteristica del nostro Dio: è un Dio che ti aspetta, è un Dio che si avvicina a te, è un Dio che si è fatto uomo e che ha sofferto con te; è un Dio che ha gioito con te. Nei momenti belli e nei momenti brutti è un Dio presente: un Dio vivo! Questa è forse la sua prima caratteristica.
I discepoli stanno lì, davanti a lui. E lui, che sa che stanno dubitando, che conosce la loro fragilità, che sa delle loto difficoltà – un po’ come quelle di ciascuno di noi – li manda in missione. E dice: “Andate a battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
La parola battezzare significa immergere. In cosa siamo stati immersi? Siamo stati immersi in Dio, siamo stati immersi nell’amore.
C’è una realtà particolare che noi abbiamo vissuto quest’anno, l’anno dalla pandemia. È stata la realtà della solitudine. Un anno in cui abbiamo potuto renderci conto quanto è importante l’altro per noi. La sofferenza delle famiglie che hanno perso un congiunto, una persona cara è stata quella di aver dovuto vivere la malattia lontani dalla persona malata, di non essere presenti nei suoi ultimi istanti. Certo, abbiamo vissuto il dolore della morte, ma soprattutto è stata la solitudine, il non poter essere vicini alla persona che soffre. La quarantena di questa pandemia è durata per alcuni un lungo tempo, in questo quartiere quanti sono stati colpiti! La grande sofferenza di queste persone è stata essere bloccati anche per sessanta giorni, in cui il peso è stato soprattutto la solitudine: perché noi siamo fatti per gli altri. Ricordate che noi siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio. Questo Dio che oggi festeggiamo è un Dio in tre persone : è un Dio-relazione! È un Dio che non può vivere senza l’altro.
L’amore, se non è vissuto con l’altro, è solo una parola. L’amore esiste se si concretizza verso l’altro. È facile dire la parola amare, la parola amore usarla e riusarla. È molto più difficile mettersi in gioco verso l’altro. E ci rendiamo conto di quanto sia difficile, lo vediamo nella nostra società. Quante volte siamo egoisti, quante volte ci chiudiamo. Perché amare significa rischiare, significa dare la vita. Significa togliersi qualcosa, sacrificare un po’ di se stessi per l’altro. Gesù Cristo questo ce l’ha fatto capire, ha vissuto totalmente quello che noi viviamo, anzi, l’ha toccato con mano. E allora è guardando lui che uno può guardare la gioia e il dolore della sua vita. Ma il dolore più profondo lo ritrovi lì, come la gioia più bella di questo Dio che si fa comunione. Noi siamo immersi in lui, noi siano chiamati a questo. Quando diciamo che siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, è proprio questo che dobbiamo vivere, quell’amore che si fa comunione. Quando riceviamo la comunione, quando riceviamo l’Eucaristia, e quando poi andiamo fuori, perché il Signore ci manda come ci dice questo Vangelo, è per raccontare l’amore che abbiamo ricevuto, non per fare lezioni di morale alla gente, non è questo cui siamo chiamati, ma a testimoniare l’amore che abbiamo ricevuto, che abbiamo vissuto, che ci sentiamo dentro: questo sì. Il catechismo è per questo. Non sono nozioni, è l’incontro con la comunità. Per questo è triste vedere bambini che, finito il catechismo, non vengono più: dimostra che abbiamo fallito, che non riusciamo a mostrare cosa significa la comunità, che non comunichiamo quanto sia importante vivere insieme la nostra fede.
Comunicare l’amore che abbiamo ricevuto: questo è proclamare la nostra fede. Questo è quello che siamo chiamati a vivere.